Alzheimer e delfini

I delfini, precisamente stenella striata e tursiope, potrebbero candidarsi come validi “modelli di neuropatologia comparata” per lo studio della malattia di Alzheimer.

La notizia ‒ riportata alcune settimane fa in un articolo a firma di Danièlle Gunn-Moore e pubblicato dalla rivista statunitense Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association ‒ che alcuni esemplari di stenella striata e di tursiope spiaggiati lungo le coste spagnole mostravano lesioni encefaliche sovrapponibili a quelle osservate nel cervello di pazienti umani con malattia di Alzheimer, trova riscontro in una Letter to the Editor a firma di Giovanni Di Guardo, docente di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria alla Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo, che è stata appena pubblicata sempre su Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association .

Il lavoro di Danièlle Gunn-Moore e collaboratori, riporta che gli animali spiaggiati, appartenenti a due specie cetologiche ampiamente diffuse nel Mediterraneo, mostravano lesioni encefaliche sovrapponibili a quelle osservate nel cervello di pazienti umani con malattia di Alzheimer, vale a dire la presenza di “depositi e placche di beta-amiloide”, nonché di “aggregati neurofibrillari di proteina tau”.

«Al di là del fatto – ha spiegato Di Guardo ‒ che si tratta della prima descrizione di una tale neuropatia centrale nei cetacei e, più in generale, in qualsivoglia specie animale selvatica, questo studio riconosce il suo principale elemento di forza nell’identificazione della stenella striata e del tursiope quali “nuove” specie potenzialmente in grado di “ricapitolare” le caratteristiche neuropatologiche e, presumibilmente, anche i fondamentali aspetti neuropatogenetici tipici della malattia di Alzheimer».

«Ne consegue – ha aggiunto il patologo ‒ che i delfini potrebbero candidarsi come validi “modelli di neuropatologia comparata” per lo studio della malattia di Alzheimer, qualificandosi ancor più “compiutamente” in tal senso qualora anche nei delfini, come già documentato nella nostra specie, la proteina prionica cellulare fungesse da recettore nei confronti degli oligomeri solubili di beta-amiloide, molecole a spiccata azione neurotossica che svolgerebbero un ruolo cruciale nella patogenesi della malattia di Alzheimer».

«L’espressione della proteina prionica cellulare – ha concluso Di Guardo ‒ è già stata descritta nell’ambito di un precedente lavoro svolto dall’Università di Teramo in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana e con l’Università degli Studi di Padova, a livello sia del tessuto cerebrale sia di una serie di organi e tessuti linfatici di cetacei rinvenuti spiaggiati lungo le coste italiane».

Leggi la letter di Giovanni Di Guardo sulla rivista Alzheimer’s & Dementia

 
 
Ultimo aggiornamento: 19-01-2018